messa alla prova

Messa alla prova – indice:

Nato come istituto giuridico praticato nei giudizi sui minori, la messa alla prova è stato esteso agli imputati adulti dalla legge 28 aprile 2014, numero 67.  L’istituto trae origine dal sistema della probation giudiziale che consente all’imputato di chiedere al giudice la sospensione del procedimento nella fase decisoria di primo grado per reati di minor allarme sociale. Per la concessione della messa alla prova il giudice deve riscontrare un’intenzione dell’imputato rivolta a riparare le conseguenze del reato commesso. Se la messa alla prova dà esito positivo il reato si estingue.

Cos’è la messa alla prova

La messa alla prova è un istituto giuridico che può essere definito sotto molteplici profili. La Cassazione ha precisato che si tratta di una causa di estinzione del reato alternativa all’accertamento giudiziario. L’istituto, infatti, consente all’imputato di chiedere al giudice un periodo di tempo che sospenda il giudizio, nell’arco del quale questi possa valutare la sua volontà di risocializzazione e rieducazione. L’esito positivo valutato dal giudice estingue il processo e il reato che ne fa oggetto.

Lo spirito di tale disciplina è animato dalla volontà di concedere all’imputato un percorso di recupero delle conseguenze dannose del reato. Tali conseguenze sono sia di natura sociale che penale e possono essere riparate per consentire al condannato di essere rieducato. Le modalità con cui il condannato può essere rieducato possono essere alternative, in conformità con l’articolo 27, secondo comma, della Costituzione.

La definizione di messa alla prova nel codice penale

L’articolo 168-bis, primo comma, del codice penale che disciplina l’istituto recita: “Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova“.

I delitti di cui al comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale ricordiamo essere i seguenti:

  • violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336 del codice penale;
  • resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 337 del codice penale;
  • oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’articolo 343, secondo comma, del codice penale;
  • violazione di sigilli aggravata a norma dell’articolo 349, secondo comma, del codice penale;
  • rissa aggravata a norma dell’articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime;
  • lesioni personali stradali, anche se aggravate, a norma dell’articolo 590-bis del codice penale;
  • furto aggravato a norma dell’articolo 625 del codice penale;
  • ricettazione prevista dall’articolo 648 del codice penale;

Quando si può chiedere la messa alla prova

L’articolo 168-bis impone due limiti, uno di natura oggettiva e uno di natura soggettiva, alla concessione della richiesta di messa alla prova.

Il limite oggettivo è quello che circoscrive l’applicazione dell’istituto ai reati di ridotta gravità, dunque non particolarmente pericolosi per la società. Tale limite si ricava dal primo comma dell’articolo in commento.

Il quinto comma invece riporta il limite soggettivo. Questo esclude l’istanza di messa alla prova per coloro che commettono crimini e contravvengono a disposizioni di legge in modo abituale, per professione o per tendenza. C’è chi ritiene, ai fini dell’applicabilità di suddetto limite, che le caratteristiche soggettive debbano essere precedentemente dichiarate con pronuncia del giudice.

Ai sensi del quarto comma, l’istituto può essere richiesto una sola volta. Per ovviare a errori o abusi della disciplina infatti è obbligatoria l’iscrizione dell’ordinanza di sospensione del procedimento per messa alla prova nel casellario giudiziale.

L’istituto, inoltre, si caratterizza per attribuire la facoltà al giudice di effettuare una valutazione circa la qualificazione giuridica del fatto sollevato dall’accusa. La Cassazione sul punto ammette addirittura la modifica della qualificazione giuridica del fatto qualora il giudice la ritenga errata. A tale scopo, il giudice può raccogliere tutte le prove disponibili della fase istruttoria. Anche l’imputato che chiede di essere ammesso alla prova può fare domanda al giudice affinché venga riqualificata la posizione giuridica del fatto a lui ascritto. Il fine è quello di ottenere una qualificazione a lui più favorevole.

Gli effetti della messa alla prova sotto il profilo sostanziale

Procedendo con l’analisi dell’articolo 168-bis, il secondo comma impone la tenuta di comportamenti volti a due obbiettivi:

  • la rimozione degli effetti dannosi o pericolosi del reato;
  • il risarcimento del danno da esso derivante.

Il primo obbiettivo viene raggiunto con il ripristino dello stato originario del bene oggetto della condotta criminosa che deve essere restituito al suo titolare.

Il secondo consiste nella corresponsione al danneggiato di una somma di denaro compensativa dei danni patrimoniali e non, cagionati alla vittima del reato. La quantificazione del danno deve essere comunque proporzionata alle capacità economiche del reo. La Cassazione ha ritenuto infatti illegittimo il risarcimento per intero del danno qualora il condannato non sia in grado di sostenerlo.

Le condizioni di concessione della messa alla prova

Al secondo comma dell’articolo 168-bis è fatta previsione di “…affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali”.

In primo luogo è considerato requisito di concessione dell’istituto l’attività di volontariato. In secondo luogo, per analogia di quanto affermato dalla Cassazione in merito all’affidamento in prova al servizio sociale di cui all’articolo 47, quinto comma dell’ordinamento penitenziario, si ritengono applicabili anche alla messa alla prova i seguenti comportamenti:

  • l’imputato deve essere costantemente reperibile durante il periodo di affidamento al servizio sociale nonché precedentemente allo stesso, al fine di valutare il suo comportamento;
  • lo stesso deve osservare le direttive che gli sono impartite dal servizio sociale concernenti l’abitazione, la libertà di movimento, i rapporti intrattenibili e l’attività lavorativa da svolgere.

I lavori di pubblica utilità

L’altro requisito di concessione della messa alla prova è lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità. Questo è definito dal terzo comma dell’articolo 168- bis del codice penale come una “…prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato”. 

Il lavoro di pubblica utilità costituisce un’imprescindibile attività del progetto di recupero. Questo garantisce all’imputato il suo diritto alla rieducazione ai sensi dell’articolo 27 della Costituzione e l’esercizio dello stesso in sicurezza. Non si tratta di una novità nel panorama giuridico. L’abbiamo già incontrata infatti nei specifichi casi di guida in stato di ebbrezza e di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. È comunque una misura applicata in molte altre fattispecie.

Il terzo comma si conclude infine con la previsione che la prestazione oggetto del lavoro di pubblica utilità deve essere adeguata alle esigenze lavorative, familiari, di istruzione e salute dell’imputato e non deve superare le otto ore giornaliere.

Quando all’imputato sono attribuiti più reati o il reato è continuato

Sulla scorta del quarto comma dell’articolo 168-bis, l’istituto della messa alla prova sembra potersi richiedere una sola volta dall’imputato. La Cassazione, tuttavia, ha eccepito in merito a tale questione che invece ciò non è ammissibile nell‘ipotesi in cui l’imputato venga accusato di più condotte criminose. La decisione di merito ha evidenziato che la preclusione della messa alla prova in questi casi ne svaluterebbe l’intento perseguito. La messa a disposizione del reo di un’occasione di miglioramento della sua dignità sociale mediante un percorso di rieducazione è indirizzo prevalente del processo penale, e primario rispetto all’applicazione delle pene.

L’attribuzione di una pluralità di reati per alcuni dei quali sia possibile l’ammissione alla prova e per altri no non consente l’ammissione parziale alla messa alla prova. La pronuncia della Cassazione in merito è la numero 14112 del 2015, sezione penale.

Lo stesso orientamento è stato assunto riguardo la circostanza di reato continuato. Sia qualora esso sia considerato come una pluralità di reati, in base al ragionamento suesposto, sia quando considerato reato unico.

Che effetti produce il procedimento sospeso

Ai sensi dell’articolo 168-bis, primo comma, “durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il corso della prescrizione del reato è sospeso. Non si applicano le disposizioni del primo comma dell’articolo 161″.

Ricordiamo che l’articolo 161 del codice penale statuisce l’operatività dell’interruzione della prescrizione per tutti coloro che hanno commesso il reato. Lo stesso prevede invece che la sospensione della prescrizione esplica i suoi effetti solo nei confronti degli imputati verso i quali si procede.

Come si richiede di essere ammessi alla prova

L’imputato può procedere con la richiesta di essere ammesso alla prova personalmente o a mezzo del proprio difensore di fiducia tenendo presente che (articolo 464-bis, commi 2 e 3, codice di procedura penale):

  • la richiesta può essere fatta oralmente o per iscritto;
  • deve essere fatta personalmente o dal procuratore speciale;
  • necessita di autenticazione del notaio, di altra persona autorizzata o del difensore (articolo 583, comma 3, codice di procedura penale).

La veste di procuratore speciale deve essere assunta dal difensore che propone l’istanza di ammissione alla prova ai fini della validità della stessa. Non si ritiene sufficiente la sola investitura difensiva.

L’autenticazione resa oralmente dal difensore in udienza, o la richiesta sottoscritta senza essere autenticata inviata a mezzo fax comportano l’invalidità dell’istanza. È ammessa invece la trasmissione dell’istanza per posta se munita dell’autenticazione come prevista dal terzo comma dell’articolo 583 di cui sopra.

Il contenuto della richiesta si ricava dal protocollo rodigno sottoscritto dalla camera penale rodigna, l’UEPE di Padova e Rovigo, il tribunale di Rovigo e la procura della repubblica il 22 novembre 2015. Questo riporta che la richiesta deve avere le seguenti specifiche:

  • l’indicazione delle condizioni socio-familiari ed economiche, dell’attività lavorativa, formativa o di istruzione svolta dell’istante;
  • l’espressa volontà ad impegnarsi allo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità;
  • le conseguenze dannose o pericolose del reato commesso;
  • l’entità del risarcimento del danno cagionato ove possibile;
  • una dichiarazione di volontà ad avviare un percorso di conciliazione con la vittima del reato, se possibile.

L’imputato non ha diritto ad essere informato dal giudice circa la possibilità di essere ammesso alla prova. La conoscenza di ciò gli perviene dal difensore una volta questi abbia verificato la sussistenza dei requisiti di idoneità. Il difensore lo informa sull’istituto, sui benefici che comporta e sui costi, nonché sull’unicità della richiesta.

Il programma di trattamento allegato all’istanza

La richiesta di essere ammessi alla prova deve essere corredata da un programma di trattamento già elaborato o dalla richiesta di elaborazione dello stesso (articolo 464-bis, quarto comma, codice di procedura penale).

Per procedere alla progettazione del programma l’imputato deve presentare domanda all’ufficio locale di esecuzione penale esterna competente e contestualmente depositare gli atti rilevanti del procedimento penale nonché eventuali valutazioni e pareri da lui sostenuti.

A seguito della domanda l’ufficio procede all’esecuzione di un’analisi del contesto sociale e familiare in cui si trova l’imputato al termine della quale redige il programma. Quest’ultimo viene poi presentato all’imputato che ne deve dare il consenso e all’ufficio o all’ente presso il quale costui deve svolgere la prestazione, i quali devono aderirvi.

Quando viene revocata la sospensione del procedimento

L’articolo 168-quater del codice penale descrive due comportamenti che comportano la revoca della sospensione concessa:

  • “in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità”;
  • “in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede”.

Riguardo al secondo caso è possibile l’applicazione di una pronuncia della Corte di Cassazione in merito alla revoca della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 168, primo comma, del codice penale. La corte ha affermato che la stessa indole del reato si applica solo ai reati contravvenzionali e non a quelli delittuosi. La revoca dell’ordinanza di sospensione dunque si postula sempre qualsiasi sia il tipo di delitto, anche di specie diversa.

Con riguardo alle contravvenzioni si ritiene applicabile l’articolo 101 del codice penale che specifica cosa si intenda per reati della stessa indole. Sono definiti tali quelli che non trasgrediscono soltanto la stessa norma di legge ma anche norme diverse del codice penale o di altre leggi che mostrano aspetti comuni per la qualità dei fatti che ne costituiscono oggetto o delle ragioni che ne hanno comportato il compimento.

La durata minima della messa alla prova

Il protocollo per l’applicazione dell’istituto della messa alla prova del Tribunale ordinario di Padova fornisce un quadro di riferimento (non vincolante) dei limiti temporali della sospensione del processo per messa alla prova.

Per le contravvenzioni il periodo di messa alla prova va dagli 1 ai 4 mesi.

Per i delitti la durata della messa alla prova varia a seconda della pena edittale inflitta.

Se la reclusione non è superiore ai 2 anni il periodo di messa alla prova va dai 4 ai 6 mesi.

Con la reclusione dai 2 ai 3 anni il periodo di messa alla prova va dai 6 agli 8 mesi.

Per i delitti puniti con la reclusione dai 3 ai 4 anni il periodo di messa alla prova va dagli 8 ai 12 mesi.

La reclusione superiore ai 4 anni determina un periodo di messa alla prova che va dai 12 ai 24 mesi.

La pronuncia del Tribunale di Lecce sui criteri di stima della durata della messa alla prova

Il Tribunale di Lecce, con l’ordinanza del 30 maggio 2017, ha sostanzialmente affermato che non ci sono dei parametri tassativi di determinazione della durata della messa alla prova e che tale durata spetta al libero convincimento del giudice.

Ci sembra utile riportare quanto si legge nell’ordinanza relativamente ai punti più salienti:

“Sembra, dunque, doversi dedurre da tutti i suesposti argomenti che la quantificazione della durata della prova sia affidata ad una valutazione discrezionale del Giudice basata su criteri non codificati e non codificabili. Ed ove pure si ritenga che egli debba dar conto del proprio impalpabile ragionamento sul punto, in ogni caso non sembra che il codice abbia mai inteso imporre al suo percorso argomentativo di seguire binari predeterminati nella manifestazione del proprio convincimento.

Ne consegue – a parere di questo Tribunale – l’assenza di criteri espliciti e tassativi nello stabilire la durata della sospensione del processo per messa alla prova: ogni elemento, entro ovvi canoni di ragionevolezza, può essere liberamente e prudentemente apprezzato dal Giudice.

Ciò posto, il principale dato con cui si deve confrontare il Giudice nello stabilire siffatta durata è, nonostante il silenzio serbato sul punto dalla Suprema Corte, la frequenza settimanale alla quale l’imputato ha consentito di prestare lavoro di pubblica utilità, essendo evidente che a una maggiore diluizione del lavoro settimanale non può che corrispondere una maggiore dilatazione dei tempi della prova, e viceversa”. 

La tabella delle ore di lavoro di pubblica utilità nella messa alla prova

Il Ministero della giustizia fornisce le seguenti linee guida sulla durata della sospensione del procedimento e sulle ore di lavoro di pubblica utilità.

FASCIA A)
Per le contravvenzioni punite con la sola ammenda si prevede un periodo di messa alla prova da 15 giorni a 1 mese all’interno del quale sarà eseguito il lavoro di pubblica utilità per almeno gg 15, pari a n. 30 ore.

FASCIA B)
Per le contravvenzioni punite con pena alternativa o congiunta o delitti puniti con la sola multa si prevede un periodo di messa alla prova da 1 a 4 mesi all’interno del quale sarà eseguito il lavoro di pubblica utilità per almeno gg 30, pari a 60 ore.

FASCIA C)
Per i delitti puniti con la reclusione non superiore a 2 anni si prevede un periodo di messa alla prova da 4 a 6 mesi all’interno del quale sarà eseguito il lavoro di pubblica utilità per almeno gg 60, pari a n. 120 ore.

FASCIA D)
Per i delitti puniti con la reclusione da 2 a 3 anni si prevede un periodo di messa alla prova da 6 a 8 mesi all’interno del quale sarà eseguito il lavoro di pubblica utilità per almeno gg 90, pari a n. 180 ore.

FASCIA E)
Per i delitti puniti con la reclusione da 3 a 4 anni si prevede un periodo di messa alla prova da 8 a 12 mesi all’interno del quale sarà eseguito il lavoro di pubblica utilità per almeno gg 120, pari a n. 240 ore.

FASCIA F)
Per i delitti puniti con la reclusione superiore a 4 anni si prevede un periodo di messa alla prova da 12 a 18 mesi all’interno del quale sarà eseguito il lavoro di pubblica utilità per almeno gg 180, pari a n. 360 ore.

L’esito della messa alla prova

Concludiamo la trattazione con l’articolo 464-septies del codice di procedura penale che disciplina l’esito dell’istituto esaminato. La norma distingue due ipotesi:

  • se la prova ha avuto esito positivo il giudice emette la sentenza di estinzione del reato. La prova si intende “superata” quando il giudice abbia ritenuto idoneo il comportamento tenuto dall’imputato durante il periodo di sospensione ovvero ha eseguito le prescrizioni che gli sono state ordinate;
  • quando la prova ha avuto esito negativo il giudice dichiara la prosecuzione del processo che era stato sospeso.

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